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Il culto di Moloch in Italia

Aggiornamento: 15 nov 2019

Spesso si avverte una "sottile" critica verso l'operato della Chiesa nel suo secolare tentativo di disfacimento di quelli che erano gli antichi culti. Ciò non toglie che, dissenzo a parte verso l'istituzione ecclesiastica, molti di noi siano portati ad apprezzare gli ideali che "teoricamente" la chiesa professa, ossia carità, solidarietà, fede nella preghiera ( paragonabile ad consapevolezza insita nelle tecniche di meditazione che vuol riavvicinarsi alla propria divinità interiore, ma questo è tutto un'altro discorso che affronteremo in altri articoli) e di conseguenza ci sentiamo sollevati che alcuni culti siano scomparsi e che siano ad oggi, relegati solo a ristrette cerchie.

Tutto questo, succede dando per scontato che quei culti fossero davvero costituiti da atrocità e crudeltà, così come ci vengono raccontati.

Ma sarà davvero così?

Il dio Moloch, il dio toro, a lui venivano sacrificate le cose più care, per averne il favore o allontanare la sfortuna, le cose più care spesso erano gli stessi primogeniti di chi cercava il favore del dio. Ebbene si, si racconta che nell'estremo sacrificio, vi si sacrificavano dei bambini su i suoi altari.

Assieme alla Dea Tanit , Moloch, rappresentava una delle due facce della stessa medaglia per i fenici.

Il culto della Dea madre (appunto Tanit per i fenici) era diffuso in tutto il mondo, veniva spesso rappresentata con forme semplici femminili nel suo lato positivo, mentre si dava spazio alla fantasia, rappresentandola nel suo lato negativo. Ritroviamo sempre questa dualità nelle rappresentazioni delle forze naturali e spirituali nel mondo antico, anche con il popolo sumero lo stesso Pazuzu (divenuto famoso grazie al film "l'esorcista"), era sposo di Lamashtu; qui vediamo uno scambio di ruoli rispetto al popolo fenicio. A Lamashtu venivano sacrificati bambini per gli stessi motivi del dio Moloch, mentre Pazuzu era dedito a proteggere le partorienti e quindi la vita creatrice stessa.

L'influenza fenicia nella Penisola ha inciso su molte culture compresa quella dell'isola di Sardegna, studi approfonditi fanno risalire lo stesso popolo degli "Shardana" ad un ondata di migrazioni antichissime provenienti dal continente africano. Ad avvalorare questa ipotesi oltre ai ritrovamenti archeologici dell'isola, vi sono alcuni siti in cui proprio il dio Moloch veniva venerato e dove leggenda narra, vi si sacrificavano primogeniti. Vi rimando ad un video di un escursione dell'amico RealMisterX, in uno di questi siti archeologici sul monte Sirai, vicino Carbonia.

Tornando ai giorni nostri Dal 27 settembre 2019 al 29 marzo 2020, è stata allestita l’esposizione “Carthago: il mito immortale” dedicata alla civiltà fenicia, una delle più potenti e affascinanti dell’antichità, presso il Parco archeologico del Colosseo.

Emblema della mostra e’ sicuramente la ricostruzione del Moloch, del film Cabiria: “Una figura mostruosa che si pensava essere una divinita’ cartaginese, ma si tratta di un personaggio che non corrisponde alla realta’”, ha detto ancora Xella.

Partendo dal tempio di Romolo passando dalla Rampa imperiale, si possono ammirare 409 reperti, provenienti da musei italiani e stranieri, tra cui il museo del Bardo di Tunisi.

"Cartagine era considerata acerrima nemica di Roma, secondo fonti letterarie romane, ma è risultato evidente si trattasse di uno stereotipo

del passato, poiché nel corso degli ultimi decenni la ricerca e gli scavi ci hanno dato una prospettiva diversa, avviando una riflessione che supera i luoghi comuni. Per questo, ci è sembrato il momento giusto per organizzare questa mostra e dare una nuova visione”, ha spiegato il direttore del Parco, Alfonsina Russo, che ha curato l’esposizione insieme a Francesca Guarnieri, Paolo Xella, José Angel Zamora Lopez, Martina Almonte e Federica Rinaldi. “Proprio in un’epoca in cui c’è la necessità di integrazione e di accoglienza- ha detto ancora Russo- abbiamo voluto ricostruire il dialogo che Roma e Cartagine hanno portato avanti per secoli, un aspetto di straordinaria attualità che vuole essere il principale messaggio di questa mostra”. La mostra è dedicata all’archeologo Sebastiano Tusa, scomparso in un incidente aereo, scopritore del Sarcofago della sacerdotessa alata che accoglie i visitatori all’inizio del percorso e i rostri, testimonianza della battaglia delle Egadi, rinvenuti intorno all’isola di Levanzo e restaurate dall’Istituto superiore per la conservazione e il restauro.



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