Bere l' acqua di mare, la nuova invenzione degli ingegneri del politecnico di Torino
- Redazione
- 31 ott 2019
- Tempo di lettura: 3 min

Secondo le stime della FAO, entro il 2025 quasi 2 miliardi di persone potrebbero non avere abbastanza acqua potabile per soddisfare i loro bisogni quotidiani. Una delle possibili soluzioni a questo problema è la desalinizzazione, ovvero il trattamento dell'acqua di mare per renderlo potabile. Tuttavia, rimuovere il sale dall'acqua di mare richiede da 10 a 1000 volte più energia rispetto ai metodi tradizionali di approvvigionamento di acqua dolce, ovvero pompare acqua da fiumi o pozzi.
Motivati da questo problema, un team di ingegneri del Dipartimento di Energia del Politecnico di Torino ha ideato un nuovo prototipo per desalinizzare l'acqua di mare in modo sostenibile ed a basso costo, utilizzando l'energia solare in modo più efficiente. Rispetto alle soluzioni precedenti, la tecnologia sviluppata è infatti in grado di raddoppiare la quantità di acqua prodotta a una data energia solare, e potrebbe essere soggetta a ulteriore miglioramento dell'efficienza nel prossimo futuro.
Il gruppo di giovani ricercatori che ha recentemente pubblicato questi risultati sulla rivista Nature Sustainability è composto da Eliodoro Chiavazzo, Matteo Morciano, Francesca Viglino, Matteo Fasano e Pietro Asinari (Multi-Scale Modeling Lab).
Il principio di funzionamento della tecnologia proposta è molto semplice: "Ispirato alle piante, che trasportano l'acqua dalle radici alle foglie per capillarità e traspirazione, il nostro dispositivo galleggiante è in grado di raccogliere acqua marina utilizzando un materiale poroso a basso costo, evitando così l'uso di costosi e pompe ingombranti: l'acqua di mare raccolta viene quindi riscaldata dall'energia solare, che sostiene la separazione del sale dall'acqua evaporante.Questo processo può essere facilitato da membrane inserite tra acqua contaminata e potabile per evitare la loro miscelazione, analogamente ad alcune piante in grado di sopravvivere in ambienti marini (ad esempio le mangrovie) ", spiegano Matteo Fasano e Matteo Morciano.
Mentre le tradizionali tecnologie di dissalazione "attiva" richiedono componenti meccanici o elettrici costosi (come pompe e / o sistemi di controllo) e richiedono tecnici specializzati per l'installazione e la manutenzione, l'approccio di desalinizzazione proposto dal team del Politecnico di Torino si basa su processi spontanei che si verificano senza l'aiuto di macchinari ausiliari e può quindi essere indicato come tecnologia "passiva". Tutto ciò rende il dispositivo intrinsecamente economico e semplice da installare e riparare. Queste ultime caratteristiche sono particolarmente interessanti nelle regioni costiere che soffrono di una cronica carenza di acqua potabile e non sono ancora state raggiunte da infrastrutture e investimenti centralizzati.
Fino ad ora, un noto svantaggio delle tecnologie 'passive' per la desalinizzazione è stata la bassa efficienza energetica rispetto a quelle 'attive'. I ricercatori del Politecnico di Torino hanno affrontato questo ostacolo con creatività: "Mentre studi precedenti si concentravano su come massimizzare l'assorbimento di energia solare, abbiamo spostato l'attenzione su una gestione più efficiente dell'energia termica solare assorbita. In questo modo, siamo stati in grado di raggiungere valori record di produttività fino a 20 litri al giorno di acqua potabile per metro quadrato esposto al Sole. Il motivo dietro l'aumento delle prestazioni è il "riciclaggio" del calore solare in diversi processi di evaporazione a cascata, in linea con la filosofia di 'fare di più, con meno' Le tecnologie basate su questo processo sono generalmente chiamate 'multieffetto',

Dopo aver sviluppato il prototipo per oltre due anni e averlo testato direttamente nel Mar Ligure (Varazze, Italia), gli ingegneri del Politecnico affermano che questa tecnologia potrebbe avere un impatto in località costiere isolate con poca acqua potabile ma abbondante energia solare, specialmente nello sviluppo paesi. Inoltre, la tecnologia è particolarmente adatta a fornire acqua potabile sicura ea basso costo in condizioni di emergenza, ad esempio in aree colpite da alluvioni o tsunami e lasciata isolata per giorni o settimane dalla rete elettrica e dall'acquedotto. Un'ulteriore applicazione prevista per questa tecnologia sono i giardini galleggianti per la produzione alimentare, un'opzione interessante soprattutto nelle aree sovrappopolate. I ricercatori, che continuano a lavorare su questo tema all'interno del Clean Water Center del Politecnico di Torino, sono alla ricerca di possibili partner industriali per rendere il prototipo più duraturo, scalabile e versatile. Ad esempio, le versioni ingegnerizzate del dispositivo potrebbero essere impiegate in aree costiere dove lo sfruttamento eccessivo delle falde acquifere provoca l'infiltrazione di acqua salata in falde acquifere d'acqua dolce (un problema particolarmente grave in alcune zone del Sud Italia), o potrebbe trattare acque inquinate da industrie o impianti minerari.
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